RUMORE QUANTICO E UNIVERSO OLOGRAFICO

Sono ormai circa sessant'anni che l'idea di universo olografico ha fatto irruzione sulla scena scientifica mondiale.
Cercare di dare una spiegazione al fenomeno dell'entaglement tra particelle o interrogarsi sul contenuto di entropia dell'universo ha comportato un'incredibile sforzo immaginativo che ci ha portato a rappresentazioni dell'universo decisamente fuori dall'ordinario.
Per decenni si è discusso tra gli addetti ai lavori della possibilità che il nostro universo non sia ciò che di esso percepiamo a livello sensoriale ed intuitivo. Invece di tre dimensioni spaziali infatti ne potrebbero esistere solo due. Una sorta di enorme pellicola cosmica piatta da cui promana una rappresentazione tridimensionale che non è altro che l'universo in cui viviamo. Noi stessi siamo un fenomeno talmente distante da ciò che percepiamo da diventarci totalmente alieno.
Certo sono considerazioni affascinati e stimolanti. La realtà non è quello che sembra. Si schiudono infinite possibilità da valutare, sondare. Ciononostante finora sono state solo questo: considerazioni. Certa la teoria è solida, suggestiva ed affascinante, ma pur sempre solo una teoria.
Fino a qualche tempo fa sembrava anche impossibile poter indagare sperimentalmente su tale argomento. Se infatti viviamo in un universo olografico come possiamo verificarne la natura? Un ipotetico microscopio olografico che cercasse di evidenziarne i limiti sarebbe soggetto esso stesso agli stessi limiti esistenziali e quindi non potrebbe evidenziarli.
Sarebbe come se un omino di un videogame cercasse di analizzare la natura dello schermo su cui è proiettato con un microscopio costruito dagli stessi bit di informazione di cui è fatto lui. Impossibile ricavare alcunché da esso, potrebbe solo vedere ciò che si trova all'interno del gioco stesso.
Questa considerazione è sconfortante, in fondo chi non vorrebbe dare uno sguardo al di fuori del proprio mondo manifesto che, per quanto vario ed enorme nelle sue molteplici implicazioni, tende a manifestarsi con una ripetitività opprimente? Sembra però che le cose non siano proprio così. Forse c'è un modo per verificare la natura olografica dell'universo e la cosa impressionante è che sta succedendo proprio adesso. Forse un fastidioso rumore di fondo che disturba un sofisticato strumento di indagine cosmica è la prima prova sperimentale che le teorie sull'universo olografico non sono solo teorie.
Ma quest'avventura non comincia con un rilievo casuale al contrario inizia ancora una volta con una teoria.
Craig Hogan è un fisico appena promosso direttore del Fermilab, un laboratorio per lo studio delle particelle a Batavia, Illinois. Hogan ha fatto alcune considerazioni cruciali partendo dai risultati di Bekestein sull'universo olografico (2). Infatti se l'informazione contenuta nell'universo non può che essere quella che è contenuta nei suoi confini esterni allora la grandezza dei bit come si manifestano all'interno dell'universo deve essere più grande di quella teorizzata in base alla lunghezza di Planck, in altre parole l'universo appare come fuori fuoco, sfumato quando lo si osserva a livello ultramicroscopico.
Fermiamoci un attimo per comprendere meglio questo punto.
Max Plank è stato uno dei padri fondatori delle fisica quantistica. Egli ha concepito per primo il concetto di quantum ovvero quantità base di energia. In fisica classica esisteva il concetto di continuum. Ad esempio possiamo suddividere all'infinito lo spazio che c'è tra due corpi senza mai arrivare ad una lunghezza minima. Questo concetto sembra intuitivamente accettabile, se infatti arrivassimo ad una grandezza molto piccola cosa ci potrebbe impedire a livello teorico di suddividerla ulteriormente? Osservando meglio il concetto di continnum però sorgono non pochi problemi. Si vedano ad esempio i famosi paradossi di Zenone che portano la mente in stallo proprio di fronte al concetto di infinitamente divisibile. Anche se poi questi paradossi sono stati spiegati rimane il fatto che di fronte all'idea di infinitamente divisibile ad un certo punto la nostra mente si ribella, è come se dicessimo "ci sarà un limite ad un certo punto!" Infatti c'è.
Lo stesso ragionamento di infinitamente divisibile potrebbe essere fatto per le quantità di energia, di massa eccetera. Planck ha invece dimostrato che l'energia si trasmette in quantità definite, discrete, per l'appunto in quanti. In altre parole non potremo mai avere mezzo fotone di luce ma sempre e soltanto multipli di un fotone.
Questa concezione ha rivoluzionato la fisica nelle sue fondamenta più basilari. L'universo non è infinitamente divisibile ne lo sono il tempo, la materia, l'energia, l'informazione ecc. Tutto si muove a scatti, a valori discreti.
Plack nella sua lunga e feconda vita di scienziato ha anche concepito numerose unità di misura allo scopo di definirle in relazione a costanti universali non concepite dall'uomo. Una di queste unità di misura è la lunghezza di Planck. Misura un valore molto piccolo circa 1,6 x 10-35mm.
Molto più tardi, negli anni '80, questa misura assunse un significato molto importante. Infatti con la nascita della teoria delle super stringhe si assunse che la stringa base dell'universo avesse diametro uguale proprio alla lunghezza di Plack e che non ci sia alcun senso in grandezze inferiori a questa. Al di sotto di questo limite lo spazio ed il tempo non hanno più significato.
La teoria delle stringhe prevede che tutte le forme di energia e di particelle siano costituite da componenti base, per l'appunto le stringhe, che vibrando in un universo a 11 dimensioni si manifestano nel nostro universo ordinario come particelle, o fotoni, o quanti di altre energie. In altre parole le stringhe sono i mattoni base del nostro universo. E queste stringhe hanno come diametro la lunghezza di Planck.
A quest'ordine di grandezza lo spazio-tempo stesso diventa instabile. Soggetto alle leggi della probabilità, in perenne stato di agitazione quantistica. Per definire questo stato la meccanica quantistica parla di "quantum foam" o spuma quantistica. È come se a livelli sub-microscopici ci fosse una sorta di schiuma in perenne fluttuazione, un ribollire quantico di spazio-tempo.
Purtroppo non c'è modo di darci uno sguardo, le grandezze sono troppo piccole ed anche a livello teorico non è concepibile alcun mezzo per arrivare a questi valori minuscoli. Ne siamo tagliati fuori in modo irrimediabile.
Almeno fino ad ora.
Qui entra in gioco l'intuizione di Hogan. Come si è detto il fisico americano è partito dalla concezione di universo olografico di Bekestein. Secondo tale concezione l'entropia (e l'informazione) che è possibile racchiudere in una certa porzione di spazio è equivalente alla superficie del buco nero equivalente a quella stessa porzione di spazio. In parole più semplici riducete la Terra ad un buco nero di 9 mm di diametro e la sua superficie sarà il limite massimo di informazione che possiamo stipare sul pianeta.
Questa equivalenza manifesta una sorta di vincolo olografico. In altre parole sembra che l'universo sia un enorme ologramma cosmico.
Hogan è partito da questa considerazione ed ha notato che se l'universo è solo un ologramma allora anche le grandezze base dell'universo non sono quelle che pensiamo. In particolare la lunghezza di Planck presente sulla superficie di proiezione dell'ologramma si manifesterebbe all'interno di esso come sfocata, sfumata e molto, molto più grande. Siamo nell'ordine di 10-16mm. Per capire come questo accada immaginate di vedere un gioco di ombre cinesi, le immagini sono proiettate su uno schermo da un raggio luminoso posto dietro di esse. Come tutti sanno se avviciniamo gli oggetti alla fonte di luce (o allontaniamo lo schermo) l'immagine diviene più grande e viceversa. Hogan è partito dalle dimensioni stimate dell'universo e si è chiesto che dimensione potrebbe avere la lunghezza di Planck se fosse proiettata da un'ipotetica fonte luminosa all'interno di un enorme ologramma sferico (l'universo per l'appunto). Ed ecco la risposta: 10-16mm.
Questa non è più una grandezza impossibile da determinare con esperimenti fisici reali. Ed è qui che Hogan ha cominciato a pensare a come avrebbe potuto dare uno sguardo all'infinitamente piccolo. Ad esempio a queste grandezze sarebbe forse percepibile la schiuma quantistica come perenne ribollire, fluttuare dello spazio-tempo. Diventerebbe una sorta di rumore di fondo, un disturbo sonico di quelli che danno fastidio quando si sentono alla radio ma di fondamentale importanza se coinvolge la natura dell'universo. Dunque ha cominciato a domandarsi come poter rilevare questo rumore di fondo ed incredibilmente non ha dovuto fare molto sforzo per trovare un riscontro già bello che pronto, ad Hannover in un impianto costruito per studiare tutt'altro.
IL GEO600 è una sorta di grande righello lungo 600 m. Esso è stato concepito per rilevare le onde gravitazionali. Secondo la teoria della relatività quando una stella esplode in una nova lo spazio ne viene talmente scosso da creare delle increspature, delle onde di gravità che si muovono nello spazio alla velocità della luce. Tali onde quando attraversano una certa porzione di spazio la allungano in un senso e la contraggono nell'altro. Tali allungamenti e contrazioni sono rilevabili in diversi modi. Nel caso del Geo600 sono stati posti ai due estremi del righellone due interferometri laser ovvero due lettori di luce laser. Se inviamo una luce coerente (cioè una luce che è fatta di fotoni che vibrano all'unisono) attraverso uno specchio argentato semitrasparente siamo in grado di riflettere metà del fascio e lasciar passare l'altra metà. Se dirigiamo i due fasci coerenti ai due estremi del Geo600 possiamo farli interferire in modo molto preciso e rilevare se ci sono deformazioni dello spazio dovute all'arrivo di onde gravitazionali. A questo punto possiamo tradurre i messaggi laser in suoni e restare all'ascolto. Prima o poi una stella esploderà e noi potremo vedere le increspature dello spazio sotto forma di suono.
Quando Hogan ha scoperto il Geo600 ha capito che forse il suo peculiare modo di funzionare avrebbe potuto rilevare il ribollire quantico della schiuma dello spazio-tempo. E' entrato in contatto con il direttore del Geo600 e gli ha esposto le sue teorie. A questo punto la storia sembra diventare un libro d'avventura. Il direttore del Geo600, Danzmann, ha subito confermato ad Hogan che è circa un anno e mezzo che registrano un fastidioso rumore di fondo proveniente dallo strumento, un rumore di natura sconosciuta. Hanno pensato che potesse essere un disturbo di tipo termico ma i valori rilevati non sono spiegabili interamente con questa origine.
E siamo arrivati ad oggi. Si stanno mettendo a punto alcune varianti nel sistema di misura del rumore, in particolare misurare a diverse frequenze e forse realizzare una protezione sottovuoto del Geo600, tecnologia in cui i tedeschi eccellono. Tutto questo per cercare di avere ulteriori dimostrazioni e riscontri del fenomeno. Ci si attende un'evoluzione dei rilievi entro un anno. E nel frattempo la comunità scientifica tiene gli occhi ben puntati sul Geo600 che è balzato al centro dell'attenzione mondiale.
Ma tutto questo cosa significa in pratica? L'universo potrebbe essere un ologramma e noi come parte di esso non saremmo che delle evanescenti proiezioni di una sorta di universo-base bidimensionale spalmato su una pellicola cosmica. Hogan ha fatto un parallelo tra ologramma universale ed ologrammi di nostra conoscenza ordinaria e forse ha dato il via alla prima scoperta sperimentale della nautura olografica dell'universo.
E se anche altri paralleli fossero possibili?
Si sa ad esempio che su una stessa pellicola olografica si possono incidere molti ologrammi che si rendono visibili modificando l'angolo di incidenza della luce. Un esempio sono gli ologrammi presenti sulle banconote. In un cubo di quarzo di pochi centimetri è possibile imprimere anche un milione di ologrammi uno accanto all'altro.
E se anche la nostra pellicola cosmica avesse le stesse proprietà? Non conosciamo la natura della luce che può proiettare una cosa come l'intero universo e non conosciamo di certo la natura della pellicola cosmica bidimensionale sulla quale il tutto è presente. Ma se su questa pellicola ci fossero impressi altri universi? Uno accanto all'altro in una successione di realtà parallele il cui pensiero lascia sgomenti.
Nella storia dell'umanità il concetto di "dimensione parallela" è presente da sempre in un modo o nell'altro. Pensiamo ad esempio alla favolosa isola di Avalon, un posto concreto ma separato dal nostro mondo. E non si parla qui di mondi dell'al di là a cui si può accedere in vari modi, in particolare morendo. L'al di là sembra essere descritto in modo diverso da queste dimensioni parallele.
Immaginiamo di essere un omino da video game che vive il proprio programma proiettato su uno schermo cosmico in un'illusoria immagine 3D. Ci muoviamo nel contesto del nostro video game convinti della sua realtà ed immanenza. Ma ecco che accanto al nostro universo ne esiste un altro, ed un altro ancora assolutamente invisibili a noi. Come potremmo entrare in contatto con essi?
Nel campo dell'indagine ufologica si è parlato spesso di esseri venuti da dimensioni parallele tramite strumenti tecnologici. D'altronde non avremmo i vincoli teorici presenti per esempio nella teoria dei molti mondi di Everett, che prevede l'esistenza di un'enorme quantità di universi paralleli però inellutabilmente separati tra loro.
Lo stesso J.Allen Hynek, il famoso ufologo che analizzò il "Blue Book" asserì che "gli UFO potrebbero essere un'interfaccia tra la nostra realtà e una realtà parallela" ed ancora egli affermò che il viaggio intergalattico non è fisicamente possibile ma che gli UFO potrebbero rappresentare una realtà alternativa o addirittura delle "porte" che connettono il nostro universo a qualche dimensione parallela.
Quante volte, nelle varie cosmogonie presenti nei miti di tutto il pianeta, si è parlato, in un modo o in un altro, di piani esistenziali posti su livelli di "vibrazione" diversi, posti incantati a cui si accede con parole magiche, terre poste "altrove", e via dicendo.
Un'altra peculiarità degli ologrammi è la singolare capacità che ha ogni parte della pellicola di mantenere impresso l'intero ologramma. Se si rompe una pellicola olografica ogni parte di essa riproduce l'intero ologramma con l'unica differenza che la sua riproduzione è di qualità inferiore a quella originale. Essa appare meno precisa e dettagliata. Se applicassimo questa qualità alla pellicola cosmica potremmo forse riprodurre un universo in miniatura tramite la riproduzione in laboratorio di una piccola porzione della "pellicola" universale? Non intendo una copia del nostro universo in particolare ma magari realizzando in laboratorio una pellicola con le sue proprietà di base essa potrebbe costituire un vero e proprio universo in provetta. Ma allora il nostro stesso universo potrebbe essere in un certo senso di "seconda mano". Un esperimento in provetta di uno scienziato che cerca di comprendere il proprio universo.
Naturalmente siamo in piena fantascienza e non sembra che sia neanche lontanamente concepibile una cosa simile, almeno per ora.
Le prospettive sono però affascinati e non possiamo non interrogarci sulle implicazioni di un universo olografico.
Se fossimo omini olografici e scoprissimo che il nostro universo è una proiezione tridimensionale potremmo forse cominciare a studiarne le caratteristiche, la natura e magari riuscire a scoprire che queste "realtà parallele" sono separate da noi solo dall'inclinazione della luce cosmica da cui tutto promana. Magari conoscendone la natura potremmo metterci in sintonia con essa e viaggiare da una dimensione all'altra. E, naturalmente, se ciò e possibile è anche molto probabile che siamo a nostra volta visitati da esseri di altre dimensioni. In questo caso essi sono qui, tra noi.
Ma soprattutto potremmo chiederci chi è il programmatore ed il costruttore di questo schermo cosmico. Perchè lo ha fatto e che senso ha la nostra presenza al suo interno.
E' solo un video game fine a se stesso o reca un significato particolare per noi che ci troviamo intrappolati in esso? Vi è una via d'uscita?
Naturalmente una moltitudine di altre domande affolleranno la vostra mente come la mia.