IL VINCOLO OLOGRAFICO E LA NATURA DELL'ESISTENZA

Cerchiamo di approfondire ancora il vincolo olografico. L'ologramma non è che una forma proiettata da un fascio di luce che passa attraverso una pellicola impressionata nello spazio tridimensionale. Tali immagini possono essere molto reali al punto da rendere difficile capire se esse sono un oggetto "reale" ovvero effettivamente composto di materia o un semplice insieme di luci e colori senza alcuna consistenza fisica.
Immaginiamo adesso di avere di fronte a noi sul piano della nostra scrivania due cubi apparentemente identici. Uno è un cubo fatto di materia l'altro invece è l'ologramma dello stesso cubo. Immaginiamo che la qualità dell'ologramma sia tale da renderlo indistinguibile dall'oggetto materiale.
Come possiamo identificare l'ologramma dall'oggetto materiale (ovviamente senza toccarlo)? Osserviamo le due immagini con una lente di ingrandimento. Ancora nessuna differenza (il nostro ologramma è veramente di ottima qualità). Allora usiamo un microscopio sempre più potente. Ecco che ad un certo punto l'ologramma comincerà ad apparire sgranato, come quando si guarda una fotografia molto da vicino. Cominceremo a vedere piccole imperfezioni, macchie di colore, spazi vuoti.
Abbiamo raggiunto un livello in cui l'immagine proiettata di fronte a noi non ha più la stessa qualità dell'oggetto reale. Come quando si guarda un quadro troppo da vicino e si vedono le singole pennellate di colore perdendo la forma rappresentata Ciò accade perché le imperfezioni della pellicola su cui è registrato l'ologramma si rendono evidenti.
Ma noi non siamo soddisfatti del risultato e decidiamo di rendere l'ologramma ancora più reale, vogliamo che esso sia indistinguibile dall'oggetto tridimensionale. Cosa dobbiamo fare? Ovviamente dobbiamo migliorare la qualità della pellicola. Per cui riduciamo la dimensione della grana fotosensibile, stipiamo sempre più perfettamente i particolari dell'oggetto su di essa.
Con questo nuovo ologramma dobbiamo aumentare la potenza del nostro microscopio per evidenziare i difetti e gli spazi vuoti ciononostante arriviamo ben presto a notare la differenza: laddove l'oggetto tridimensionale è ancora perfettamente definito l'ologramma ben presto si mostra sgranato ed indistinto. A questo punto ci poniamo un problema teorico: come possiamo rendere l'immagine tanto fedele da rendere impossibile distinguerla dall'oggetto reale?
La risposta è semplice: mai. Questo perché nel cubo tridimensionale noi abbiamo uno spazio solido nel quale possiamo accumulare dati invece nel caso dell'ologramma abbiamo solo una superficie piatta, che è costituita dalla pellicola, sulla quale ovviamente possiamo registrare molti meno dati che non nello spazio solido e nella materia che lo occupa che costituiscono l'oggetto rappresentato. Abbiamo raggiunto il vincolo olografico. Un limite invalicabile.
Ma noi non ci fermiamo ancora. Osserviamo noi stessi. Come possiamo sapere di essere oggetti "reali" esseri materiali e tridimensionali? Per i cultori di "Star Trek" è una domanda abbastanza chiara. Chi non si è appassionato al problema quando viene descritto il ponte ologrammi o, ancora meglio, in "Star Trek Voyager" quando si vede il programma olografico "The Doctor". Immaginiamo di essere noi stessi una proiezione olografica ma senza esserne sicuri. Come possiamo sapere di essere materiali, occupanti uno autentico spazio tridimensionale e non una proiezione olografica?
Non abbiamo più oggetti tridimensionali di riferimento. Per quanto ci sforziamo di guardarci intorno vediamo l'immenso universo con tutta la sua incommensurabile presenza. Tutti i fenomeni racchiusi in esso appaiono reali, concreti al di là di ogni apparente dubbio. La stessa ipotesi che esso non sia ciò che appare sembra divenire un mero esercizio intellettuale fine a se stesso.
Potremmo analizzarci al microscopio ma lo stesso strumento sarebbe soggetto alle stesse leggi ed alle stesse regole di cui cerchiamo di sondare i limiti rendendo vano il nostro tentativo. Sembra una posizione di stallo senza via d'uscita. Ma ecco che continuando a guardarci attorno improvvisamente cominciano a comparire dei fenomeni che non possiamo spiegare.
Ad esempio dove finisce l'universo? Siamo impossibilitati ad immaginarne una fine ma ancora meno riusciamo ad immaginarne i confini. Se ci sono confini infatti possiamo domandarci cosa si trovi oltre questi confini e ci troviamo impossibilitati a dare una risposta che abbia un senso immediato. Cosa si trova oltre l'immensamente grande o al di sotto dell'infinitamente piccolo?
Possiamo tacitare i nostri dubbi dicendoci che si tratta di concettualizzazioni astruse troppo lontane dalla nostra comune percezione e metterci l'animo in pace: siamo reali, siamo concreti e questo è tutto. E' tutto? Ritorniamo a pure e semplici osservazioni scientifiche. Analizzando le particelle subatomiche vediamo scomparire dei limiti che la fisica relativistica ha posto come invalicabili. Due particelle correlate tra loro (ovvero soggette al fenomeno denominato entaglement) mostrano di poter comunicare tra loro in modo istantaneo, valicando il limite assoluto della velocità della luce. Ci possiamo opporre alla realtà di questo fenomeno come fece lo stesso Einstein solo per vedere le nostre critiche distrutte da un semplice esperimento fisico ormai classico e verificato (esperimento di Aspect). Non c'è dubbio la velocità della luce è infranta. Perché? Cosa accade? Ed ecco che spunta una possibile risposta: le particelle in realtà non si sono separate, appaiono solo separate. In un universo olografico noi stiamo solo vedendo una manifestazione apparente di un fenomeno che in realtà accade su una superficie piana della quale adesso possiamo iniziare a cogliere il riflesso con qualche indicazione in più che si tratti di una realtà (universo olografico di Bohm). Le particelle non si separano, restano correlate.
L'immaginazione non ci sostiene più, siamo in un campo alieno al nostro comune senso di esistenza ma è proprio l'analisi dei fenomeni all'interno di questa esistenza che ci conducono a questa ipotesi. Non più un astruso esercizio concettuale ma la necessità di dare una risposta concreta alle contraddizioni paradossali che siamo in grado di sperimentare su un piano puramente osservativo. Proiettati in questo universo sconosciuto ci poniamo nuovamente la domanda da cui siamo partiti: come possiamo verificare la nostra natura olografica?
Ci mettiamo allora a misurare quanta informazione possiamo stipare nel nostro universo tridimensionale. Quanto "piccola" sia la grana della pellicola da cui viene proiettato il nostro universo. Ed ecco una nuova stupefacente scoperta. Tramite le analisi sui buchi neri, sull'informazione e sull'entropia scopriamo che esiste un limite a questa precisione di rappresentazione e questo limite non è dato dallo spazio tridimensionale che sembra circondarci esso è dato da una superficie piana.
In altre parole troviamo che la nostra rappresentazione tridimensionale non può essere più precisa di quanto sarebbe se fosse una proiezione olografica. Siamo incappati nuovamente nel vincolo olografico ma questa volta ci siamo arrivati seguendo rigorosamente un percorso tracciano nei sentieri del nostro universo.
Cosa si direbbe un omino di un video game che scopre di essere un'immagine su uno schermo piatto? Probabilmente quello che noi ci stiamo dicendo adesso. Si può fermare il gioco? Si può uscire dallo schermo? Dove si trova lo schermo? Cosa supporta l'universo? Qual è la matrice dell'esistenza? E forse un altro milione di domande si affollerebbero alla sua mente sopraffatta dallo stupore.
Ma proviamo a precisare meglio come si giunge a questo vincolo olografico a livello universale. Ovviamente non stiamo più parlando di una ipotetica grana di una pellicola fotosensibile cosmica. Non stiamo neanche parlando di semplice luce laser della quale è possibile conoscere la lunghezza d'onda e quindi dedurre altri limiti rappresentati proprio da essa. Parliamo di informazione, di entropia e di buchi neri.
L'entropia è un fenomeno che assume spesso aspetti non molto definiti. Se nella sua definizione termodinamica si mostra come una quantità fisica ben misurabile quando cerchiamo di sondarne la natura ad un livello approfondito mostra aspetti di non immediata chiarezza. Ad esempio essa può essere definita come il grado di disordine di un sistema. Ma il disordine ( o l'ordine) di un sistema sono grandezze oggettive? Sono indipendenti dalla natura dell'osservatore? Facciamo un esempio. Noi uomini occidentali siamo abituati ad ascoltare ed apprezzare la nostra musica. Siamo di solito in grado di cogliere le melodie e le armonie di derivazione classica. Sentiamo un pezzo di Beethoven o degli U2 e ne cogliamo in genere il messaggio estetico ed emotivo. Di fronte però ad un pezzo di musica dodecafonica i più si sentono smarriti e faticano a coglierne il messaggio. Che dire poi di un pezzo di shakuhachi, il flauto tradizionale giapponese? Melodia ed armonia sembrano completamente diverse e di solito non si è in grado di recepire questo tipo di musica con la stessa immediatezza di quella a cui siamo abituati. L'ascoltatore esperto invece mostra altre reazioni e ne apprezza l'essenza. Ma perché laddove un ascoltatore inesperto trova disarmonia e apparente confusione un ascoltatore addestrato percepisce esattamente il contrario? Che fine fa l'ordine armonioso che si suppone alla base di un pezzo musicale? O, generalizzando ancora di più, cosa percepisce un animale della nostra musica in genere? Se paragoniamo l'entropia all'ordine o disordine musicale possiamo chiederci che fine fa l'entropia in un pezzo musicale? Possono apparire disquisizioni oziose ma scienziati del calibro di Maxwell, uno dei giganti della fisica dell'800, si sono poste queste domande con molta serietà.
Per quanto sfumata ed ambigua possa sembrare l'entropia resta una grandezza fisica ben misurabile ed è inevitabile che prima o poi qualche ricercatore in vena di disquisizioni si ponga delle domande in apparenza fini a se stesse come ad esempio: quanta entropia può contenere l'universo?
L'entropia in un sistema chiuso è destinata ad aumentare, l'universo nel suo insieme può essere considerato un sistema chiuso e dunque la sua entropia globale è destinata ad aumentare in modo irreversibile. E' come se qualcuno abbia caricato un enorme orologio cosmico all'inizio dei tempi. La molla ben tesa all'inizio è un motore che inelluttabilmente si distende. Il continuo ticchettio delle reazioni chimiche e fisiche ne consuma la potenzialità fino ad azzerarla in un futuro che, per quanto lontano, appare segnato senza possibilità di scampo. L'universo sembra destinato a morire soffocato dalla propria entropia. Il disordine arriverà al limite massimo e non ci sarà più carburante per alimentare i fuochi fisico-chimici che lo sostengono (sempre che non finisca prima per qualche altro motivo).
Ecco che il desiderio di misurare l'entropia dell'universo acquista nuovi significati. Ma come fare?
Prima di rispondere a questa domanda spostiamo l'attenzione su un'altra fondamentale manifestazione del nostro universo: l'informazione.
Entropia ed informazione possono essere considerate equivalenti.
Se ci chiediamo adesso cosa sia l'informazione ci troviamo immediatamente nello stesso tipo di ambiguità e confusione che abbiamo trovato affrontando l'entropia.
L'esplosione dell'utilizzo dei computer ha causato la diffusione e lo sviluppo rapido e tumultuoso della scienza dell'informazione ovvero l'informatica. La necessità di gestire dati ed informazioni ha fatto si che essi venissero definiti e manipolati in modo preciso ed univoco. Impossibile essere ambigui su queste grandezze pena il fallimento di qualsiasi programma ed applicativo software.
Si è arrivati dunque a definire cosa sia un dato e cosa invece sia un'informazione. Solitamente si dice che un dato è semplicemente un valore laddove invece l'informazione è un dato arricchito di significato. Come si vede ci siamo ricascati. Significato per chi? Facciamo un esempio. Il numero dieci è un dato. Di per se non significa niente, se diciamo a qualcuno "10" ci guarderà perplesso. Ma se questo qualcuno ci ha appena chiesto quante sono le dita delle mani di un uomo o i comandamenti dei cattolici o le cifre previste dall'aritmetica araba ecco che la nostra risposta "10" assume un preciso significato: è diventata informazione. E' evidente che queste informazioni sembrano avere significato solo per un uomo ed in particolare un uomo che vive nel nostro tempo e sappia di cosa stiamo parlando. Non si deve però desumere automaticamente che l'informazione, come d'altronde l'entropia, abbiano valenza unicamente soggettiva. Quasi si trattasse solo di peculiarità tipiche della potenzialità conoscitiva umana. E' evidente che l'informazione scritta nel DNA non è stata inventata dall'uomo ne è diretta a lui. Esisteva eoni prima che l'uomo o i suoi più lontani antenati facessero la comparsa nell'universo. Piuttosto possiamo dire il contrario, ovvero che l'uomo è il risultato dell'informazione iscritta nei suoi geni. Così come l'entropia dell'universo può tranquillamente ignorare l'intero genere umano o l'intera galassia in cui viviamo senza che questo ne modifichi il comportamento e le caratteristiche.
L'informazione, come si vede ha assunto sempre più la caratteristica di grandezza basilare nell'universo. Esistono l'energia, la materia, il tempo, lo spazio ed esiste l'informazione al pari di queste fondamentali manifestazioni dell'esistenza. Senza informazione non ci sarebbe l'universo come lo vediamo. Essa è parte integrante di quanto ci circonda e di noi stessi.
C'è grande quantità di informazione in ogni oggetto, fenomeno, atomo, fotone o particella subatomica che possiamo immaginare.
Per riprendere l'esempio iniziale dell'ologramma di luce possiamo dire che l'informazione incisa nella pellicola è in grado di generare l'immagine che ci appare di fronte agli occhi. Ne stabilisce la forma, le dimensioni, il colore eccetera. Vista la sostanziale equivalenza tra entropia ed informazione possiamo dire che misurare l'entropia di un oggetto corrisponde a misurarne l'informazione. Così come però l'entropia di un oggetto non è necessariamente il massimo dell'entropia che questo oggetto può contenere anche l'informazione non è necessariamente tutta quella che può essere contenuta in esso. Immaginiamo un libro di varie centinaia di pagine in cui sia scritta una sola frase e che tutte le altre pagine siano vuote. Ovviamente possiamo stipare molta più informazione in esso. Ed anche quando lo abbiamo riempito di parole possiamo sempre scrivere con un formato più piccolo ed aumentare ancora il suo contenuto. Continuando con questo esercizio possiamo chiederci quanta informazione possiamo inserire nel libro. O in una porzione di spazio, o nell'intero universo.
Per rispondere torniamo all'equivalenza tra entropia ed informazione: se misuriamo l'entropia massima che possiamo trovare in una porzione di spazio possiamo anche misurarne il limite di informazione che esso può contenere.
Immaginiamo adesso di scrivere su ogni particella subatomica o fotone o particella elementare in genere un'unità di informazione. Più particelle abbiamo in un dato spazio e più questo spazio conterrà informazione. Più è denso di particelle questo spazio e più alta è l'informazione contenuta in esso. Qual è dunque la massima concentrazione di materia che possiamo immaginare? La risposta è semplice: il buco nero.
Quando la materia si addensa aumenta la sua forza di gravità. Più materia c'è in un oggetto e più sarà l'attrazione verso gli altri oggetti. In un oggetto di una certa grandezza, come ad esempio il sole, la materia degli strati esterni tende a cadere verso il verso il centro. Questo fenomeno crea una pressione che scalda l'idrogeno fino ad innescare la fusione atomica. Il sole è in equilibrio tra continua tendenza ad esplodere a causa del fuoco atomico e continua tendenza a collassare causata dalla forza gravitazionale. Una volta esaurito il combustibile se viene meno la fusione nucleare il sole comincerà a diminuire di diametro spinto dal suo stesso peso. Ma la forza gravitazionale è anche condizionata dalla distanza. Come due calamite che si attraggono. Più sono vicine tra loro e più grande diventa la forza che le attrae. Se immaginiamo un oggetto molto denso e molto piccolo possiamo comprendere come nelle sue vicinanze l'attrazione gravitazionale possa diventare molto grande. In determinate condizioni quando una grande massa collassa su se stessa si può venire a creare un corpo astrale di così grande densità e di così piccole dimensione da possedere un campo gravitazionale intensissimo. Tanto forte che neanche la luce ne può uscirne. Lo spazio intorno ad esso si curva ed il tempo rallenta fino quasi a fermarsi. Abbiamo un buco nero. Una voragine cosmica che non lascia scampo a chi o cosa ci incappa troppo da vicino. Per esempio se la terra diventasse un buco nero avrebbe solo il diametro di circa 9 mm. Invece si ritiene che il buco nero che si trova al centro della nostra galassia sia di circa 7.8 milioni di chilometri.
I fenomeni che avvengono nei buchi neri sono talmente alieni che non si parla neanche di superficie di un buco nero, si preferisce denominarla orizzonte degli eventi.
In ogni caso che si tratti di superficie o di orizzonte degli eventi è una quantità calcolabile in modo preciso.
Adesso che abbiamo disposto i nostri scacchi sulla scacchiera possiamo cominciare a giocare.
Riponiamoci la nostra domanda iniziale: quanta informazione possiamo stipare in una porzione di spazio? Abbiamo visto che l'informazione è equivalente all'entropia e dunque ciò corrisponde a chiedersi quanta entropia possiamo avere nello stesso spazio. E' stato dimostrato che è possibile calcolare l'entropia di un buco nero dalla sua superficie. Più è grande la sua massa, più è grande la sua superficie e di conseguenza più è grande la sua entropia.
Immaginiamo adesso che la Terra si riduca ad un buco nero. E' evidente che tutta la sua entropia sarà contenuta in esso visto che per una legge universale l'entropia non può andare persa. Ecco dunque calcolata l'entropia massima della Terra: essa è dipendente dalla superficie del buco nero che diverrebbe. Abbiamo dunque risposto alla nostra domanda. Possiamo calcolare la massima entropia che può essere contenuta dalla Terra calcolando la superficie del buco nero corrispondente. Ma siamo di nuovo incappati in un qualcosa che non è tanto spiegabile. Perché nella Terra così grande non può stipare più entropia (e più informazione) di quella che è contenuta nella superficie di un minuscolo buco nero? Si, è proprio così, ci stiamo ponendo di nuovo la stessa domanda che ci siamo posti per il nostro cubo olografico.
Ripetiamolo ancora: per quanto cerchiamo di stipare informazione in ogni granello di sabbia o in ogni particella subatomica del nostro pianeta scopriamo che non possiamo utilizzare tutto il volume che abbiamo a disposizione ma che siamo vincolati dal valore di una superficie molto più piccola. Ecco la nostra pellicola olografica cosmica. E' come se scrivendo sul nostro libro di pagine bianche scoprissimo che per quante pagine questo abbia e per quanto queste siano sottili possiamo scrivere in esso solo le parole che possono essere contenute nella sua copertina. Le pagine interne per quanto appaiano concrete e visibili e materiali sembrano d'un tratto solo un'illusione.
Lo abbiamo trovato di nuovo. E' il vincolo olografico. Ma questa volta lo abbiamo trovato a livello cosmico. Stiamo sondando il limite dello schermo del nostro video game.
Si potrebbe pensare molto alle conseguenze di questi ragionamenti. Ricordiamo che non si tratta di speculazioni oziose ma di precise nozioni enunciate da ricercatori di innegabile e riconosciuta serietà.
Esiste un piano di realtà che noi non vediamo ma che è tanto reale da essere il substrato del nostro intero universo? Siamo fenomeni che accadono su una superficie piana nonostante la percezione del nostro essere tridimensionale sia così pregnante ed onnicomprensiva?
Sembriamo vivere in una sorta di Flatland cosmica solo che questa volta non si tratta del parto della fantasia del reverendo Abbott, pare essere una realtà più vera di quella che ci viene proposta dai nostri sensi.
Pensiamo ancora al nostro omino del video game. Cosa si chiederebbe se scoprisse di non essere ciò che crede? Magari si interrogherebbe insieme a noi sulla natura del tubo catodico che lo proietta sull'immenso schermo della sua vita.
Cercherebbe di immaginarlo o di vederlo. Cercherebbe di capire il programma che lo fa muovere avanti ed indietro in un'inesauribile sequenza di azioni e reazioni.
Cercherebbe di uscire dal gioco.