VIAGGIATORI DEL TEMPO


L'uomo vive un atto di esistenza globale che trova coinvolti tanto se stesso quanto l'universo in una unica categoria di fenomeni. Tuttavia l'uomo, per via di una esaltazione antropocentrica fondata su basi culturali, distingue tra se stesso e l'ambiente esterno come se si trattasse di due differenti qualità di esistenza.
Così quando si parla di esistenza o di universo si intende solitamente un fattore fenomenico che è al di fuori della natura fisica dell'uomo. Questo porta a fare valutazioni inesatte sulla natura stessa dell'esistenza e sui fenomeni che si manifestano all'interno di essa.
Questa abitudine alla dicotomia porta a dare valutazioni diverse anche alle principali caratteristiche con cui si manifesta l'ambiente in cui viviamo, giungendo a separare, in due valori fenomenici diversi, il tempo dallo spazio.
Il concetto di spazio è facilmente identificabile nell'espressione sensibile della materia che si sviluppa spazialmente, dalle dimensioni della nostra stanza, a quella che troviamo all'aria aperta che va dal prato sotto i nostri piedi alle nuvole che ci sovrastano. Dimensione che si esprime poi con le vastità dello spazio interstellare in apparenza infinito e comunque difficile da quantificare...
L'uomo possiede precisi parametri di identificazione della dimensione, rappresentata dallo spazio nella tridimensionalità di altezza-larghezza-profondità, che gli danno la possibilità di rapportarsi con la sua manifestazione.
Infatti l'uomo è abbastanza padrone dello spazio. Può misurarlo, può muoversi senza problemi in tutte le direzioni che vuole e può costruire macchine che si muovono attraverso di esso a velocità sempre maggiori.
Al contrario dello spazio, il concetto di tempo ci appare invece come una dimensione ben più difficile da definire e sopratutto da percepire. Una dimensione che comunque è ben diversa da quella rappresentata dallo spazio, apparentemente astratta e inafferrabile, affidata allo scandire degli orologi per poter essere quantificata.
Il fenomeno temporale non è evidente come quello dello spazio. Il tempo lo possiamo percepire solo valutando lo scorrere degli eventi, dal percorso del sole nella giornata o dal susseguirsi delle stagioni. Lo percepiamo di riflesso nella valutazione dei nostri ricordi, dallo scorrere del nostro tempo biologico, che mostra un mutamento progressivo del nostro stato di essere che parte dalla nostra infanzia e attraverso il nostro presente si avvia verso la nostra vecchiaia. Il tempo lo possiamo rappresentare in un vettore di eventi, che i fisici hanno battezzato con il nome di "freccia del tempo", eventi che consentono di valutare come questa dimensione, al contrario di quella dello spazio, non è statica nel suo aspetto fenomenico, ma rappresenta una dimensione di natura dinamica attraverso la quale i fenomeni e le strutture materiali dello spazio si evolvono articolandosi in fasi progressive di realizzazione fenomenica. Se non esistesse il tempo, un seme non potrebbe germogliare, dare vita ad uno stelo, poi a un bocciolo e aprirsi finalmente in un fiore. Non avrebbe potuto avere luogo il processo evolutivo che ha trasformato la materia inerte primordiale di questo pianeta nella attuale sofisticata macchina cerebrale e quindi nel fenomeno della coscienza.
Il cervello umano non è fatto per percepire in forma intera, come avviene per lo spazio, la dimensione del tempo. Esso consente all'uomo di vivere un presente che continuamente si trasforma in ricordo dell'evento vissuto, proiettato su un divenire continuo che perpetua l'esistenza in un altro presente.
Proprio grazie all'esperienza del cervello è possibile quindi dare dei parametri alla dimensione del tempo che, in relazione alla continua esperienza del presente, vengono definiti come passato e come futuro. Tempi diversi dello scorerre della freccia del tempo.
Ma è una esperienza fittizia che l'uomo può avere della dimensione del tempo quale riflesso improprio della sua natura fenomenica effettiva che il cervello altrimenti non può percepire e capire.
Il cervello usa la memoria come un organo di senso temporale. L'esperienza del passato infatti non è che una esperienza che rimane nella memoria e se non esistesse questa funzione cerebrale l'uomo non si accorgerebbe neppure della manifestazione del tempo. Ci sarebbero solo testimonianze mute di eventi passati che l'uomo non sarebbe in grado di interpretare e passerebbe il suo tempo a filosofeggiare per capire la loro natura.
Senza questa funzione cerebrale non esisterebbe l'esperienza diretta del concetto di passato e l'uomo dovrebbe inventarne l'esistenza per giustificare la presenza nell'universo dei fenomeni connessi alla freccia del tempo, così come la ricerca relativistica ha dovuto spingersi al di là dell'ovvio percettivo dei sensi per capire meglio l'esistenza.
Tant'è che se è vero che il cervello, con il senso della memoria, riesce a far percepire all'uomo l'esistenza e l'esperienza del passato non riesce altrettanto bene nel consentirgli la percezione dell'esistenza del futuro.
Seguendo la direzione della freccia del tempo, in ogni istante ci troviamo proiettati all'interno della dimensione temporale del futuro senza tuttavia intravvedere in anticipo nulla di quanto avverrà.
Infatti, al contrario di quanto avviene per la percezione del passato, il cervello non sembra essere attrezzato fisiologicamente per consentire la percezione della dimensione del futuro se non nel momento in cui lo raggiungiamo e che si trasforma in atto esperienziale del presente. Per l'esperienza umana sembra esistere solamente un continuo presente e un passato immediato e remoto. La percezione del futuro gli è negata, non c'è l'equivalente di una funzione, come quella svolta dalla memoria, che possa mostrarglielo in qualche modo.
L'unica modalità che possiede l'uomo di concepire il futuro risiede solamente nella proiezione concettuale dei propri progetti o delle proprie aspettative. La sua percezione del futuro non è che un pallido riflesso di qualcosa di intuito che non viene mai messo decisamente a fuoco. Oppure, occasionevolmente, può svilupparla attraverso facoltà cosidette extrasensoriali che però sembrano sfuggire ad una razionale riproducibilità e si sottraggono a una analisi statistica che possa quantificarle.
Ma perdendo la percezione della dimensione del futuro, l'uomo perde l'intera percezione del tempo. Il passato si fonde con il senso dei ricordi e il presente, in cui l'uomo si colloca come fosse un momento di eternità senza fine, non può aiutarlo, poiché si confonde troppo nell'immutabilità dello spazio e lo porta all'illusione.
Così l'uomo non può guardare al tempo come guarda allo spazio, non può vedere l'equivalente delle sue tre dimensioni applicate al tempo che cela così la sua reale natura fenomenica. Alla percezione dell'uomo non rimane altro che l'utilizzo di un concetto scandito dal ticchettio di un orologio.
Lo spazio sembra essere la sola cosa certa di cui l'uomo possa fare esperienza diretta e concreta.
Ma non bisogna dimenticare che il tempo e lo spazio sono la stessa cosa. Appartengono allo stesso fenomeno di esistenza globale che è vissuto dall'uomo.
Lo spazio e il tempo non sono altro che una illusione percettiva prodotta dal cervello umano. In realtà così come li vediamo nella loro separazione fenomenica non esistono. Esiste invece una sola e precisa realtà, una globalità fenomenica che opera in una sua omogeneità senza discriminanti effettive e che trova uniti tanto il tempo quanto lo spazio in una sola e stessa identità.
La discriminazione percettiva dell'esistenza, in tempo e in spazio, è dovuta unicamente alle funzioni del cervello umano. Da una parte la concretezza della materia in cui si identifica la dimensione dello spazio e dall'altra l'astrazione del tempo, dominio della speculazione metafisica dei filosofi di ogni tempo.
Eppure possiamo osservare come questi due elementi fenomenici siano interagenti e dipendenti tra di loro. Dopotutto il tempo non è una cosa poi così tanto astratta, ma è anch'esso un fenomeno che obbedisce alle stesse leggi fisiche che dominano i fenomeni dello spazio. Per fare un esempio, una massa di un corpo celeste, non è solo in grado di deviare il percorso di un raggio luminoso che si muove nello spazio, ma è in grado di perturbare anche la velocità della freccia del tempo rallentandola o accelerandola a seconda del caso.
Risulta evidente come la conoscenza dell'universo sia diventata oggi più esplicita, diversa dalla consuetudine percettiva dell'osservatore umano, nel momento stesso in cui è stata abbandonata la scienza aristotelica per avventurarsi sul cammino di quella relativistica. Non sempre l'ovvietà proposta dalla percezione sensoriale paga il tributo alla conoscenza.
Concezioni antiche considerate universali sono state abbandonate per accedere alla percezione e quindi alla possibilità di studio di un universo valutato secondo la sua reale natura, abbandonando l'antropocentismo basato sulla presunzione dell'infallibilità dei cinque sensi percettivi.
Perché quindi non immaginare che da qualche altra parte, sulla Terra, oppure nelle vastità dello spazio interstellare possano esistere altre specie viventi con un cervello dotato di altri parametri percettivi in grado di consentire di vivere uno spazio a più dimensioni, oltre alle quelle consuete dell'uomo?
Magari dotate di un cervello in grado di mostrare con chiarezza la dimensione del tempo tanto da offrire loro la possibilità di muoversi attraverso di esso nella stessa maniera in cui gli uomini si muovono attraverso lo spazio.
Ma possiamo anche ipotizzare ulteriori creature, dotate di un cervello con parametri di percezione tanto più complessi e tanto diversi da quelli dell'uomo da consentire di cogliere ulteriori prospettive percettive dell'esistenza globale in cui viviamo e in grado di determinare ambienti esistenziali che vanno al di là della definizione ordinaria di tempo e di spazio che conosciamo.