I ROBOT DEGLI DEI

I robot del mito

I miti di molte civiltà antiche hanno tramandato la citazione di creature artificiali di metallo in grado di muoversi autonomamente al servizio degli uomini e degli dei. Alla luce delle conoscenze del nostro tempo si può cedere alla suggestione di considerarli come dei veri e propri robot, precursori di quelli che oggi vediamo come prodotti della tecnologia moderna.
Suggestione non scevra da implicazioni storiche di ogni genere. Se questa ipotesi fosse attendibile porterebbe inevitabilmente a rivalutare e a rivedere la storia fin qui conosciuta e porrebbe l'umanità attuale del pianeta nella posizione di essere probabilmente l'erede inconsapevole di una evoluta civiltà scomparsa e dimenticata.
Più semplicemente potrebbe tuttavia trattarsi del ricordo di macchine realizzate straordinariamente da occasionali abili artigiani, conoscitori dei metalli e delle leggi della meccanica.
Ipotesi questa che non dovrebbe sorprenderci più di tanto poichè anche in secoli più recenti, che non appartengono all'incertezza del mito, si ha testimonianza di macchine simili a robot che sono state costruite da veri e propri geni del tempo.


Gli "automi" del passato

Nel IV Secolo a.C., Archita da Taranto, filosofo e matematico della scuola Pitagorica, costruì una colomba volante di legno e altri dispositivi meccanici. La colomba, messa su un albero, era in grado di volare di ramo in ramo.
Nel 1500, Leonardo da Vinci realizzò una sorta di androide meccanico, dall'apparenza di un cavaliere rivestito da una corazza, con all'interno un meccanismo che lo faceva muovere come se contenesse un cavaliere.
Nel 1742, in Francia, il pittore Jacques De Vaucanson realizzò il primo automa meccanico, un flautista, che era in grado di suonare lo strumento emettendo aria dalla bocca e muovendo le dita. Lo stesso pittore, in seguito, realizzò una papera meccanica che era in grado di bere e di mangiare, capace di nuotare e di produrre richiami sonori.
In Svizzera, nel 1770, Jaquet Droz e suo figlio Henri-Louis costruirono tre bambole meccaniche. Più tardi, nel 1773, realizzarono un automa meccanico che aveva la forma di un giovane scrivano in grado di scrivere con una penna su un foglio di carta appoggiato sul tavolo.


Le conoscenze degli antichi

In questa prospettiva perchè non pensare che anche gli antichi potessero essere in grado di costruire robot meccanici? Si stima ad esempio che nel 150 aC fosse stato realizzato il meccanismo a ruote dentate che oggi è conosciuto con il nome di "calcolatore meccanico di Antikythera". Secondo i ricercatori inglesi che hanno ricostruito il meccanismo essa era in grado di calcolare il moto dei pianeti e la posizione del sole e della Luna. I ricercatori ritengono che il suo utilizzo fosse destinato a stabilire le rotte navali.
Se poi si pensa che Erone, matematico e fisico di Alessandria del 1 secolo aC, conosceva la forza del vapore e la utilizzava per far muovere le sue "macchine" e che gli antichi egizi utilizzavano meccanismi, basati sulla forza idraulica, in grado di aprire le grandi porte dei templi, potrebbe non risultare poi tanto difficile ritenere che nell'antichità ci possa essere stato qualcuno in grado di giocare con la meccanica e realizzare strutture semoventi paragonabili a dei robot.
Erone rientra a tutti i diritti in una storia degli automi. Una delle sue opera si intitola proprio Automata, e tratta la meccanica dei corpi solidi. Anche questa ha conosciuto vivissimo successo, e le copie manoscritte devono essere state ben numerose, se la biblioteca nazionale, a Parigi, ne conta addirittura sette di molto antiche. Erone comincia a distinguere, in quest'opera, gli automi a base mobile da quelli a base fissa: nel primo caso la base ruota su specie di rotaie, e il motore, che si giova principalmente di un gioco di contrappesi, produce un gioco di personaggi e di oggetti.
Da parte sua l'Impero romano potrebbe aver fatto una precisa scelta tecnologica per mantenere circoscritto il potere dell'oligarchia che lo dominava. Avrebbe potuto preferire l'utilizzo della forza lavoro degli schiavi piuttosto di quella delle macchine che sicuramente, come dimostrano i vari ritrovamenti, era in grado di costruire. La tecnologia posseduta dalle macchine avrebbe infatti ridistruibuito in maniera indesiderata un potere operativo e quindi militare anche agli avversari dell'Impero.


Gli "automi" nei miti dei popoli della Terra

Se guardiamo ai miti dell'antichità che in definitiva rappresentano i libri di testo con cui ci è stata tramandata la storia più antica facendola sopravvivere al tempo - vedasi il caso di Schliemann e la scoperta della città di Troia - e li interpretiamo con gli occhi di chi è abituato alle meraviglie della tecnologia, non possiamo non interrogarci sull'effettiva presenza di robot già costruiti nel passato.
L'Iliade di Omero narra che Hephaestus, l'antico dio greco del fuoco, della metallurgia e dell'artigianato, "forgiò" due dozzine di cavalletti di rame che potevano spostarsi dal loro posto "su ruote di oro" come se fossero in grado di muoversi autonomamente. La leggenda dice che questi apparecchi erano stati costruiti allo scopo di essere utilizzati per rendere servizi agli dei che andavano in visita nell'antro di Hephaestus.
Volendo fantasticare ci si potrebbe chiedere se questi oggetti così curiosamente descritti e deputati ad un inequivocabile servizio potevano trattarsi di robot, forse addirittura telecomandati, o di mezzi automatici di trasporto.
L'antica leggenda greca narra che Hephaestus era zoppicante e che per essere aiutato nelle sue necessità domestiche aveva "forgiato" anche due assistenti in forma di donna che lo accudissero, interamente costruite con l'oro.
Queste assistenti erano "brave, sensibili e sapevano esprimersi a parole". Hanno dato appoggio a Hephaestus accompagnandolo per mano durante le sue passeggiate, si sono occupate di lui, e l'hanno divertito col loro canto". Esse "erano in possesso di ogni forma di conoscenza appresa dagli dei immortali".
Un altro antico mito greco dice anche il "gigante di rame ", chiamato Thalos, che Zeus aveva messo a guardia dell'isola di Creta per difenderla dai suoi nemici era stato fatto da Hephaestus.
Thalos aveva un corpo interamente di metallo sormontato da una testa cornuta. C'era una sola arteria che correva dalla sommità del suo corpo sino ai suoi piedi. L'arteria era bloccata con un "chiodo di rame." Il "gigante di rame" pattugliava incessantemente l'isola, e teneva le navi nemiche a distanza gettando loro addosso delle enormi pietre. Questo gigante era anche una sorta di comunicatore attraverso cui parlava Minos, uno dei re di Creta.
Quando le forze nemiche riuscivano ad invadere l'isola di Creta, Thalos prendeva a eruttare una "rossa fiamma" intorno a lui facendole fuggire.
Tuttavia, la leggenda dice che la maga Medea superò il gigante in astuzia con l'aiuto di "false visioni." Poi lei riuscì a strappare via il tappo che sosteneva l'arteria del gigante, e ne venne fuori un sangue nero e oleoso che si allargò in terra. Da allora la forza di Thalos diminuì. E Creta divenne estremamente vulnerabile agli attacchi dei suoi nemici.
Se teniamo conto dell'attuale tecnologia moderna, nella narrazione del mito di Thalos, agli occhi di un uomo del XXI secolo si possono evidenziare parecchie suggestive analogie. Il "sangue nero e oleoso" poteva essere il liquido di un sistema idraulico che muoveva il "gigante di metallo"? La "testa con le due corna" poteva alludere ad un apparato di antenne con cui veniva guidato? E le "false visioni" potevano riferirsi a disturbi radio in grado di perturbare l'attività dell'apparato elettronico del possibile "robot" antelitteram?
E' interessante notare che possiamo trovare una descrizione simile a quella di un robot nella storia di Chi Yu, un'altra creatura mitica dell'antica Cina.
La leggenda dice che aveva quattro occhi, sei braccia, una sorta di tridente al posto delle orecchie. Chi Yu era capace di avanzare sul terreno accidentato. Era in grado anche di scavare nel terreno per un breve lasso di tempo. La leggenda dice che si nutriva di pietre, di sabbia e qualche volta anche di ferro.
Dopo che Chi Yu cessò di muoversi e venne creduto morto, la gente del posto seppellì la testa della creatura in una caverna dove per molto tempo molte persone andarono ad adorarla.
Poi, progressivamente, una nuvola di vapore rossastro cominciò a riempire la caverna, aumentando sempre di più nel tempo e il santuario non fu più accessibile.
Tra le leggende dell'antica Cina emerge quella relativa a un "drago" appartenuto a Huang Ti, il leggendario primo imperatore della stessa Cina.
La leggenda riporta che il il "drago" aveva un paio di ali e il suo corpo sembrava brillare come se fosse fatto di metallo. Sempre secondo l'antica leggenda cinese, il "drago" poteva sollevarsi portando con se 70 persone che potevano salire attraverso una sorta di passatoia.
Risulta bizzarro che il suo volo dipendesse dalle condizioni del tempo. Un giorno Huang Ti, "salito a bordo" della creatura non potè alzarsi in volo a causa di un improvviso uragano. Una circostanza strana per la narrazione visto che il "drago" era considerato il protettore della pioggia e del vento.


Gli "automi" dei miti celesti

Per finire la carrellata sulla mitologia che riporta la presenza di robot nell'antichità possiamo ricordare due esempi ancora più emblematici per il fascino che l'argomento può suscitare.
Nella mitologia cinese si parla di Houang-Ti, il figlio del cielo, che sarebbe sceso sulla Terra circa nel 2500 a.C., prendendo dimora nel bacino del fiume Houang-ho. Secondo gli antichi testi che riportano la vicenda, questa divinità celeste aveva a sua disposizione complessi carri che funzionavano senza essere trainati e ottanta servitori di metallo con quattro occhi e sei braccia, che si nutrivano di pietre e di sabbia. Dopo aver vissuto sul nostro mondo per tre secoli, Houang-Ti ritornò alla stella da cui era venuto, che si trovava nella costellazione del Leone.
In Italia, in valle di Susa, un'antica leggenda si riferisce al mito della caduta di Fetonte. Narra di un dio disceso dal cielo che si avvaleva dell'aiuto di assistenti di metallo dorato. Durante la sua permanenza tra gli uomini insegnò loro l'arte della scienza dell'Alchimia e della fusione dei metalli. In seguito venne fusa una grande ruota d'oro ricavandola dal metallo del carro divino.
Quando il dio ritornò in cielo lasciò uno dei suoi aiutanti dorati che assistesse gli uomini che avevano raccolto i suoi insegnamenti.
Le leggende riportano che una delle proprietà della creatura di metallo dorato era quella di assumere varie forme a suo piacimento. Una sua traccia è ravvisabile nella leggenda medievale che riporta di una grande caverna, posta all'interno del monte Musinè, in cui questa creatura "mutaforma", con l'aspetto di un grande drago d'oro, proteggeva una luminosa gemma verde dagli immensi poteri.




Dal libro "Uomini, robot e dei"
Di Giancarlo Barbadoro
Edizioni Triskel - Torino 2007